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La procedura giudiziaria di consegna al Belgio, nell’ambito delle regole sul mandato di arresto europeo, della moglie Maria Dolores e della figlia Silvia dell’ex eurodeputato Antonio Panzeri al centro del Qatargate si allunga e si complica. Ieri l’udienza davanti alla Corte di appello di Brescia per la posizione della figlia è stata nuovamente rinviata al 16 gennaio. Il motivo è che il Belgio non ha ancora dato seguito alle richieste di chiarimento sugli standard detentivi delle carceri belghe. Sollevate dalla difesa delle due donne, recepite dai giudici e inoltrate il 22 dicembre dal ministero della Giustizia a Bruxelles, con tanto di traduzione in francese per agevolare la pratica. Ma la risposta non è ancora arrivata. Il che rende impossibile, per i giudici bresciani, sciogliere i dubbi sulle garanzie di «tutela della dignità umana» in un sistema penitenziario più volte condannato a livello internazionale. Anche la Cassazione ha prudentemente fissato al 31 gennaio l’udienza sul ricorso della moglie di Panzeri, per la quale una diversa sezione della Corte bresciana aveva concesso in prima istanza l’estradizione. In ogni caso, gli avvocati hanno chiesto al tribunale del riesame di liberare dagli arresti domiciliari Silvia Panzeri, «perché di lavoro fa l’avvocato e deve adempiere alle scadenze dei suoi clienti», e di dissequestrare i 200mila euro sequestrati sui suoi conti correnti, oltre ai 40mila bloccati su quelli dei genitori. Mentre il fronte italiano è focalizzato sull’adempimento degli atti delegati dal Belgio, quello greco si nutre di investigazioni autonome grazie all’intraprendenza del presidente dell’autorità.
Il presidente dell’autorità antiriciclaggio greca, Charalampos Vourliotis, ha inviato nei giorni scorsi una richiesta urgente alle autorità di Panama chiedendo di essere informato sull’esistenza di rimesse da circa 20 milioni di euro trasferite dal Qatar a conti che potrebbero essere stati aperti da Eva Kaili o dai suoi familiari. La notizia è rimbalzata su diversi media internazionali e ellenici. La richiesta ha fatto seguito alle voci, rimbalzate anche sui social e smentite a stretto giro dal legale di Kaili – su un presunto conto intestato all’europarlamentare greca e ai suoi genitori presso la panamense Bladex Bank.
Il Partito Democratico voterà a favore della revoca dell’immunità degli eurodeputati Andrea Cozzolino e Marc Tarabella”. Lo ha detto ad Agorà, su Raitre, Brando Benifei, eurodeputato del Partito Democratico e membro supplente della Commissione giuridica del Parlamento europeo che dovrà valutare la richiesta di revoca richiesta dalla magistratura belga per i due europarlamentari coinvolti nell’inchiesta sul La giustizia belga ha chiesto alla presidenza del Parlamento europeo la revoca delle immunità degli eurodeputati Andrea Cozzolino e Marc Tarabella,e il Parlamento europeo, dal canto suo, ha avviato subito una procedura d’urgenza proprio per la revoca dell’immunità. La corruzione non può pagare e faremo di tutto per combatterla”, ha affermato la presidente dell’Europarlamento Metsola.
la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha avviato una procedura d’urgenza per la revoca dell’immunità di due membri del Parlamento europeo. Lo riferisce l’Eurocamera in una nota. Secondo fonti interne, dovrebbe trattarsi dell’italiano Andrea Cozzolino (Pd) e del belga Marc Tarabella (S&D), ma ufficialmente i nomi verranno annunciati dalla presidente il 16 gennaio all’apertura della plenaria.
Il professore romano Giovanni Figà Talamanca: «Non hanno trovato soldi a casa di Niccolò. Ho parlato con Niccolò al telefono. L’ho sentito forte, tranquillo di poter dimostrare la sua innocenza. Sono il suo fratello maggiore, lo conosco da quando è nato, so come è fatto e come ha vissuto. E so che con quanto sta venendo a galla in questi giorni non ha niente a che fare con lui.
Non mi sorprende che conoscesse Antonio Panzeri. Non si poteva non conoscerlo se facevi il lavoro di Niccolò. Era un personaggio di spicco, era il presidente della commissione diritti umani del Parlamento europeo. Ma sono certo che di soldi illeciti Niccolò non ha mai saputo nulla. Vederlo in cella oggi farà piacere ai tanti regimi a cui ha dato fastidio in questi anni col suo lavoro. Non mi sorprende leggere sui giornali il sospetto che l’inchiesta sia stata innescata dagli Emirati Arabi». Per la prima volta dal 9 dicembre, il giorno della retata del Qatargate, parlano i familiari del più defilato, del meno raccontato degli arrestati italiani per associazione a delinquere e corruzione. Niccolò Figà Talamanca è figlio di un grande matematico, segretario dell’associazione No Peace without Justice: una delle ong di cui si parla nell’indagine che ha scosso l’Europarlamento.
Il fratello Giovanni, professore universitario a Roma, ha appreso il 27 dicembre della decisione dei giudici belgi di tenere Niccolò in cella per un altro mese. «É una decisione che non mi aspettavo – dice – abbiamo scoperto che il sistema giudiziario belga consente un uso illimitato della custodia cautelare durante un’indagine che può basarsi anche su elementi astratti. Forse temono che mio fratello, se uscisse, potrebbe accordarsi con altri indagati o possibili indagati, ma davvero non riusciamo a immaginare cosa possa aver convinto i giudici che lui possa essere coinvolto».«No Peace without Justice è una macchina complessa e ovviamente ha bisogno di risorse finanziarie. La principale entrata sono stati per anni i bandi europei. Quando questi stanziamenti si sono ridotti, ha dovuto sopravvivere soprattutto con finanziamenti di soggetti pubblici e privati, uno dei quali è stato George Soros. Ma tutte le entrate sono rendicontate e pubbliche. A casa di Niccolò non sono stati trovati sacchi di contanti».«Durante la campagna di advocacy per la vedova di Jamal Kashoggi, il giornalista fatto a pezzi nell’ambasciata saudita a Istambul, si accorse che i servizi segreti lo seguivano passo per passo. Poi quest’ anno sono stati presentati i dossier che documentano le violazioni dei diritti umani oltre che la trama cospirativa costruita dagli Emirati Arabi. Si tratta di paesi molto influenti, ed è alquanto plausibile che abbiano cercato di fargliela pagare. Disse: “Non temo per la mia incolumità fisica, ma il vero rischio è che provino a delegittimarci, a farci passare come corrotti al soldo di un Paese straniero”. Sono certo che non ci riusciranno».
Il “Qatargate” è solo all’inizio. È la prima punta di un iceberg. Sotto c’è ancora un mondo da scoprire. E già la prossima settimana la procura di Bruxelles farà partire una nuova esplorazione. Probabilmente già lunedì prossimo scatterà la “Fase 2” dell’Inchiesta. Con nuove indagini e soprattutto con nuovi indagati. E il Parlamento europeo sarà stavolta chiamato in causa direttamente. Dovrà esprimersi formalmente sul “caso” che ormai da tre settimane ha scosso uomini e uffici di Bruxelles e di Strasburgo. Proprio in queste ore, infatti, è partita una comunicazione ufficiosa da parte dei magistrati belgi all’ufficio di presidenza dell’EuroCamera. Per avvertire che gli inquirenti stanno valutando di spedire in tempi molto brevi la richiesta di revocare l’immunità ad alcuni parlamentari europei. Il segno appunto che l’inchiesta sta compiendo il primo salto di qualità.I procuratori brussellesi stanno mettendo a punto la loro domanda. Che riguarderebbe al momento due esponenti del Parlamento: l’italiano Andrea Cozzolino e il belga Marc Tarabella. Mentre, allo stato, sarebbe tenuta in sospeso la posizione di un’altra belga di origine italiana, Maria Arena.Quando la richiesta dei magistrati sarà stata formalmente depositata, la presidente del Parlamento, Roberta Metsola, annuncerà la questione in Aula e poi deferirà preliminarmente l’esame della domanda alla commissione giuridica (Juri). Che dovrà adottare una raccomandazione all’Assemblea in cui chiede la bocciatura o l’approvazione della richiesta. A quel punto – alla prima occasione utile – il Parlamento voterà sulla raccomandazione e la decisione sarà approvata a maggioranza semplice.Le intenzioni di Roberta Metsola sono comunque di prestare la massima collaborazione ai magistrati.