
Tra le toghe di sinistra era partito da giorni, è venuto allo scoperto con un articolo ai primi di febbraio sul Manifesto e sta proseguendo in queste ore cruciali, in vista del voto fissato per oggi del Consiglio superiore della magistratura. Obiettivo: stoppare a tutti i costi il via libera del Csm alla nomina in un posto chiave del ministero della Giustizia di Antonio Sangermano, procuratore della Repubblica per i minorenni a Firenze (nel tondo). Contro l’approdo di Sangermano a via Arenula vengono citati argomenti disparati, ma è difficile non vederci la vecchia accusa di collaborazionismo lanciata periodicamente dalle correnti delle toghe verso i colleghi che accettano incarichi da governi considerati «nemici». In questo caso c’è un’ulteriore aggravante: Sangermano è un magistrato che non ha mai esitato a mettersi in rotta di collisione con il pensiero dominante tra i gruppi di maggioranza dell’Associazione nazionale magistrati. A partire da una sua intervista al Giornale di sei anni fa, in cui proponeva ricette indigeste come l’espulsione degli stranieri che delinquono, «perché l’ospitalità è un credito che va meritato con comportamenti coerenti»; contestava le sentenze che riconoscono le adozioni gay avvenute all’estero; e soprattutto criticava l’applicazione retroattiva nei confronti di Silvio Berlusconi della legge Severino. Apriti cielo. I colleghi gli ingiunsero di ritrattare. Sangermano non ritrattò.