Scandalo beni sequestrati, martedì arriva la Cassazione. L’ex giudice Saguto e altri quattro rischiano il carcere

Carmelo Provenzano non citava mai la casa della giudice Silvana Saguto nelle sue telefonate. Diceva: «Davanti alla scuola Trieste». Come se quell’appartamento al sesto piano di via Giovanni Agostino De Cosmi, a Palermo, fosse un posto misterioso, una vera e propria corte per pochi devoti, la corte della giudice più potente dell’antimafia che gestiva i beni sequestrati alla mafia con metodi alquanto discutibili.Adesso in quella casa si sta vivendo un dramma: martedì si pronuncerà la Corte di Cassazione e rischiano di finire in carcere non solo l’ormai ex giudice Silvana Saguto (condannata in appello a 8 anni e 10 mesi) ma anche il marito, l’ingegnere Lorenzo Caramma, che in secondo grado ha avuto 6 anni e 2 mesi.Lo stesso concreto rischio, in caso di conferma della condanna, per l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara (in secondo grado ha avuto 7 anni e 7 mesi), per il professore Provenzano (6 anni e 10 mesi) e per il commercialista Roberto Santangelo (4 anni e 2 mesi). È stato il processo al “cerchio magico” della presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, che nel 2015 finì nella bufera prima con un avviso di garanzia, poi con il dibattimento: le indagini del Gruppo tutela spesa pubblica del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, coordinate dalla procura di Caltanissetta, avevano svelato il grande buco nero della gestione dei beni sequestrati. Un vero e proprio “sistema”, che Silvana Saguto gestiva attraverso amministratori giudiziari compiacenti, sempre gli stessi. È stata condannata per una sfilza di reati, dall’associazione a delinquere alla corruzione, dalla concussione all’abuso d’ufficio.Il racconto di un delirio di onnipotenza, ma anche di una serie di miserie umane. «Silvana Saguto era mossa da uno spasmodico desiderio di assicurare alla propria famiglia un tenore di vita molto più elevato delle proprie possibilità», ha scritto la corte d’appello di Caltanissetta. Fino a contrarre maxi-debiti con un supermercato sequestrato a un imprenditore di mafia. E se i soldi non bastavano, c’era il solerte Cappellano Seminara che correva a casa sua, con un trolley pieno di soldi. Al telefono parlavano di «documenti»: una sera, l’avvocato le portò 20mila euro. E il giorno dopo, d’incanto, i problemi finanziari della giudice trovarono soluzione. Con un versamento di tremila euro. Poi un altro, di duemila. E un altro ancora, di tremila euro. Al professore Provenzano, succeduto a Cappellano, chiese invece di fare la tesi per il figlio Emanuele, che è stato condannato pure lui, a 4 mesi. «Da questo processo è emerso il mercimonio della gestione dei beni sequestrati e l’approfittamento, a vari livelli, del ruolo istituzionale ricoperto», hanno annotato ancora i giudici nisseni.Così cala il sipario sull’era della zarina dell’antimafia, chiamata pure dal Parlamento come consulente per il settore dei beni sequestrati. Ora, invece, è barricata nella sua abitazione, che è stata anche confiscata per risarcire le parti civili private e pubbliche: non c’erano altri soldi nei conti della giudice, che è stata già radiata dalla magistratura.In appello sono stati condannati anche l’ex prefetta di Palermo Francesca Cannizzo, a tre anni; il tenente colonnello Rosolino Nasca, a due anni e 8 mesi; l’avvocato Walter Virga, un altro amministratore giudiziario del “cerchio magico”, a un anno e 4 mesi. Sotto i tre anni, nessuno rischia di andare in carcere.


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