La decisione della Corte Costituzionale sul caso Giovanardi e il bavaglio al Parlamento

La Corte costituzionale ha deciso di ‘commissariare’ il Senato della Repubblica ed i suoi componenti. E’ quanto capitato a Carlo Giovanardi, ex ministro, sottosegretario, e più volte parlamentare, adesso presidente di Popolo e Libertà, un movimento di ispirazione cristiana che guarda al centro. Tutto inizia nel 2014 quando l’allora senatore modenese del Pdl viene a conoscenza da alcuni imprenditori edili della sua città che il prefetto del posto, sulla base di “potenziali e sintomatici pericoli di infiltrazione futura” nelle aziende di quest’ultimi da parte della malavita organizzata, era in procinto di deliberare una interdittiva antimafia in base alla quale esse non avrebbero potuto più operare con la pubblica amministrazione, condannandole in tal modo al sicuro fallimento. Analoga segnalazione sul punto era giunta a Giovanardi dall’Ance. Senza aver ovviamente preso un centesimo da questi imprenditori, Giovanardi, con il suo caratteristico piglio emiliano pubblicamente decideva di contestare in Aula, in Commissione Giustizia e in Commissione Antimafia, presentando interrogazioni ed interpellanze, il modo di agire della prefettura modenese, stigmatizzandone i macroscopici errori che rischiavano di gettare sul lastrico aziende.Per queste iniziative, che in un Paese diverso dall’Italia rientrerebbero nei normali compiti del parlamentare, nel 2017 Giovanardi riceveva un avviso di garanzia dall’allora pm antimafia Marco Mescolini, poi balzato agli onori delle cronache per le chat con l’allora zar delle nomine al Csm, l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, suo grande sponsor per diventare procuratore di Reggio Emilia ed affettuosamente chiamato il “Re di Roma”. Caduta l’aggravante mafiosa, il procedimento penale veniva così incardinato al Tribunale di Modena che optava per il giudizio immediato, in base, si accerterà poi, ad intercettazioni che non potevano essere ammesse essendo Giovanardi tutelato dalle guarentigie parlamentari.Il processo era subito interrotto perchè il Senato, relatore Simone Pillon, deliberava che le ‘accuse’ di vilipendio, pressioni e minacce sulla Prefettura, e violazione del segreto d’ufficio, non erano altro che un diritto sancito dall’articolo 68 della Costituzione, secondo il quale un parlamentare non può essere chiamato a rispondere delle opinioni e dei voti dati nell’ esercizio delle sue funzioni. Contro la decisione del Senato il Tribunale di Modena sollevava allora conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale, che, dopo l’udienza pubblica disertata dallo stesso Tribunale emiliano, la settimana scorsa, con una decisione quanto mai singolare, annullava la delibera del Senato, equiparando così gli interventi di Giovanardi in Aula alle chiacchiere al bar dello Sport. Avendo però nella scorsa legislatura la Giunta per le autorizzazioni del Senato già affermato che le intercettazioni acquisite fraudolentemente, e che servivano a puntellare l’accusa, non potevano essere utilizzate senza il voto dell’Aula, Giovanardi ha l’altro giorno nuovamente ripresentato domanda, positivamente accolta, ma al presidente del Senato Ignazio La Russa perché venga riproposta la medesima questione


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