Lanzalone e De Vito condannati per lo stadio di Roma

I giudici del tribunale di Roma hanno condannato 9 persone nell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma riguardanti il vecchio progetto di Tor di Valle (mai realizzato), nel quale la Roma è ritenuta estranea ai fatti. E tra i condannati spicca praticamente la testa del Movimento 5 stelle – allora in piena èra rampante Grillo-Davide Casaleggio – tra cui l’ex presidente dell’assemblea capitolina, Marcello De Vito (8 anni e 8 mesi di reclusione), e soprattutto l’avvocato Luca Lanzalone (3 anni di carcere), che era ritenuto una specie di factotum di Grillo nella capitale. Lanzalone negò sempre uno speciale rapporto, «Grillo l’ho visto una sola vola a teatro. E Casaleggio non lo conosco. Pensate che adesso, per non creare imbarazzi a nessuno, non dormo più all’hotel Forum ma ho cambiato albergo. Di Maio lo stimo, ma non sono un militante». Fatto è che tutti nel Movimento sapevano che bisognava passare da lui, per tutta una serie di questioni, anche politicamente importanti. Tra gli altri condannati ci sono l’imprenditore Luca Parnasi (2 anni anche considerando il rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna), Giulio Centemero (parlamentare della Lega) 1 anno, Gianluca Bardelli (6 anni e 8 mesi), Adriano Palozzi (1 anno e 10 mesi), Giuseppe Statuto (un anno e 6 mesi). Assolti invece Francesco Bonifazi (ex tesoriere del Pd), lex assessore Michele Civita e Davide Bordoni. Nel 2018, sempre dalle carte dell’inchiesta romana, finì sui giornali una cena del 12 marzo 2018, in piena fibrillazione post vittoria M5S (e Lega) alle elezioni politiche, quando a casa di Parnasi si incontrano Luca Lanzalone e Giancarlo Giorgetti, uomo forte della Lega. Lanzalone e Parnasi vengono intercettati più volte, in quei giorni, consegnando alla storia delle cronache politiche anche una frase pronunciata da Parnasi, che – sicuramente non senza qualche elemento di vanteria – a un certo punto dice: «Il governo lo sto a fa io, eh». Nelle note dei carabinieri a quell’inchiesta – anche queste pubblicate da tutti i giornali – compare anche l’osservazione che, secondo i Carabinieri, i due, Parnasi e Lanzalone, discutono anche dei futuri ministeri: «Parnasi propone una persona terza super partes, poi spartendo i vari ministeri». Si vantano di aver discusso della cosa con Di Maio (che tenne a dire che non aveva più sentito Parnasi dai tempi dello stadio di Roma, un anno prima, e di non sapere nulla della cena). Non è detto che tra le vanterie telefoniche e il successivo governo ci sia un legame, naturalmente; fatto è che alla fine si fece un accordo M5S-Lega. Conte divenne “premier terzo” scovato tra Di Maio e Salvini.


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